Il tesoro nascosto del Bosco Eliceo
Tra il Lido delle Nazioni e l’abitato di San Giuseppe si estende la Duna di San Giuseppe, protetta dalla Normativa europea della Rete Natura 2000 e dal Piano operativo del Parco regionale del Delta del Po, che identifica questa striscia sabbiosa come parte dell’antico Bosco Eliceo, che un tempo si estendeva fino a Portogaribaldi e ai margini del quale l’uomo da secoli coltiva la vite, producendo il brioso “Vino di Bosco”, come amabilmente viene definito dai Comacchiesi.
Questa paleo duna di origine eolica, da decenni minacciata dall’antropizzazione e dall’agricoltura intensiva, è un chiaro esempio di Riserva di Biosfera, nell’accezione che l’Agenzia UNESCO ha fornito per descrivere quegli ecosistemi le cui caratteristiche ambientali hanno influito in maniera determinante nel plasmare le attività umane, fine a modellare il territorio in un paesaggio rurale.
La peculiarità di questa coltivazione è il cosiddetto piede franco, ovvero la possibilità di piantare la vite senza il portainnesto di origine americana, pratica resasi necessaria a partire della metà del XIX Secolo a causa della proliferazione nei terreni di un afide chiamato fillossera, che in pochi decenni stava decretando l’estinzione della vite da vino europea, la vitis vinifera.
Senza addentrarsi nei dettagli di tale pratica, tra l’altro in fase di riconoscimento da parte del Ministero dell’Agricoltura come Pratica agricola tradizionale, possiamo comunque affermare che il suo mantenimento ha creato un modello agricolo che supera il semplice allevamento della vite, portando alla definizione di un sistema ambientale nel quale per esempio un ruolo fondamentale è costituito dagli alberi, in prevalenza pioppo nero, che costituiscono il sostegno dei filari, ma anche una fonte di ombreggiatura e un giusto livello di umidità in queste estati tremendamente siccitose.
Un luogo che sottratto alle logiche uniformanti di una modernità scelta a prescindere (tesa il più delle volte ad un mero contenimento dei costi di produzione), manifesta una sua inerzia al cambiamento, particolarmente significativa in anni di spiccato riscaldamento globale, come ribadisce anche Angelo Peretti, noto giornalista del settore: “Se continuiamo a credere che avere i filari larghi e gli alberi tra i filari sia solo una questione legata ad antiche pratiche agricole di sussistenza, ho paura che partiamo con il piede sbagliato. Forse è il caso di chiedersi se non sia la via per consentire la sussistenza della viticoltura stessa, e del vino”.